La Storia...

SAN LUCA
STORIA, ORIGINI ETNICHE E CULTURALI

A cura di Sebastiano Stranges

Una frase racchiude la consapevolezza del valore supremo di appartenenza ad una cultura pluri millenaria. Quella degli uomini essenziali che vissero il sincretismo di molte culture e religioni attuando, in pieno periodo bizantino, una religione di pace e consapevolezza di essere cristiani.

 

Le località che conservano toponimi di santi sono moltissime. C’era anche il culto per una santa, della quale il luogo conserva ancora il nome, “Santa Venere”.

 

Un santo stilita che visse in una piccola caverna che gli consentiva di stare solo in piedi, “Santo jerasmo”.

 

Nella prima cristianità furono molti i monaci che dalla Grecia, dall’Asia e dall’Africa giunsero in questo territorio. La profezia di un Santo, Monaco del deserto, diceva che questa terra era la Terra del santissimo Spirito di Dio. Questa terra era stata definita Afrundu, da Acrantos “terra Santa”. Nell’ultima visione di San Francesco di Paola c’era l’immagine della terra calabra avvolta dal Fuoco del Santo Spirito di Dio.

 

La saggezza veniva propagata con atti semplici a cominciare dal saluto. Salvezza e Pace. E l’arrivederci era semplicemente

“jiti ca paci”.

 

Ai giovani che dimostravano sensibilità verso la spiritualità, i saggi insegnavano loro le parole di sapienza e conoscenza, fino a che non dimostravano di essere pronti a mettersi al sevizio di chi aveva bisogno di sostegno e di consigli.

 

La lunga scuola che durava a volte quasi tutta la vita, si concludeva con La frase

Ora vai, e che ti possa vedere l’uomo migliore del mondo”.

La storia di San Luca parte da molto lontano nel tempo, inizia con il neolitico.

 

Le aree dove i primi abitanti si stanziarono furono Palazzo, Calarìa, Pietra Cappa, Cuppo e Serro Papà. I reperti trovati a conferma della presenza umana del neolitico sono asce litiche, ossidiane, nuclei e schegge di selce, ceramiche del neolitico stentinelliano di 56001 anni a.C., ceramiche grezze, avvicinabili alla seconda fase del neolitico, databili intorno al quarto millennio a.C. Due asce, una del neolitico rinvenuta a Cipollaro dal Sig. Antonio Bartolo2. Si tratta di un’ascia a mano ottenuta da un sasso di granito grigio scuro, con banda piu’ chiara del tutto uguale a quelle rinvenute nel territorio di Bova. 

 

Una seconda ascia a martello3 rinvenuta dal Sig. Saverio Pelle nei pressi del vecchio cimitero di San Luca. 

 

Questa tipologia di ascia a martello è stata rinvenuta diffusamente lungo le coste del mediterraneo.

 

Le asce a martello sono state usate fino alla prima età dei metalli, per cui la datazione è incerta in quanto le asce a martello si rinvengono dalla fine del neolitico, 4000 anni a.C. fino a 3000 anni a.C.

 

In tutto il mediterraneo la credenza popolare pone le asce come strumento di punizione divina in quanto, secondo la credenza popolare, queste sono prodotte dall’azione dei lampi, quindi definiti “Cugna i lampu”. 

 

I racconti popolari riportano spesso l’avvistamento di tali asce, le quali vengono buttate nei crepacci o nelle pozze d’acqua per paura che il fulmine possa colpire il ritrovatore.

 

L’età dei metalli inizia circa 3000 anni a.C. 

 

Nel territorio di San Luca abbiamo potuto osservare frammenti ceramici, riconducibili a questi periodi, a Pietra Cappa e soprattutto a Serro Papa’4.

 

In questo sito si rinvengono frammenti di ceramiche di varie epoche e facies culturali inerenti il periodo dei metalli, con datazione da 1900 anni a 1600 anni a.C., per cui la frequentazione del sito è durata per un lungo periodo.

 

A Serro Papa’ (papa’, dal greco Papas, prete/sacerdote) abbiamo rinvenuto un frammento decorato nello stile detto Appenninico5 . Le ceramiche appenniniche sono ben levigate e decorate con punteggiatura fitta e regolare .

 

NOTE

(1) Paolo Orsi. Stazione Neolitica di Stentinello, Siracusa – Bolletino Paleontologico Italiano 1890 Santo Tine’- Il Neolitico. Storia della Calabria Antica Gangemi editore Reggio Calabia 1988. Jonh Robb.Bova Marina Archaelogical Projet-Survey and excavetion .University of Cambridge 2008 .

(2) Sebastiano Stranges – ”Importante ritrovamento stentinelliano a Bova Marina. Calabria Sconosciuta n 56, anno 1992.

(3) Sebastiano Stranges “in Aa Vv. Megale Ellas. Ellenofoni di Calabria Universita’ UTETEL Bova Marina 1993.

(4) Sebastiano Stranges, Aa Vv. Monaci e Monasteri italo-greci nel territorio di San Luca. Collana Aspromonte -Tra Storia e Fede – Laruffa Ediore 1999 a Cura Edizioni Ente Parco Nazionale d’Aspromonte.

(5) Sebastiano Stranges, Aa Vv. Megale Ellas vedi nota (n3)

Il neolitico di Stentinello. Continuita’ sintattica che perdura ancora fino ad oggi.

Paolo Orsi scoprì la facies Stentinello, con decorazioni del neolitico di 5600 anni a.C. a Siracusa. Da questo ritrovamento le ceramiche ne presero il nome.

 

Negli anni a partire dal 1980 fino agli anni 2000, con Luigi Sacca’ abbiamo condotto numerose ricognizioni sul territorio della Provincia di Reggio, rendendoci conto che lo stile di Stentinello è presente in tutta la provincia. Molto più presente rispetto alla Sicilia e a Malta.

 

Considerato l’espansione della facies stentinelliana, nella provincia ci siamo posti la questione che tale facies possa avere origine nella provincia reggina e che i ritrovamenti rinvenuti al di fuori siano opera di mezzi di scambio tra le popolazioni neolitiche.

 

Sui ritrovamenti del neolitico di Stentinello in Calabria, hanno lavorato altri noti ricercatori come Il Prof Santo Tine’, una equipe composta da università internazionali che hanno vagliato le nostre segnalazioni. Tra queste Cambridge e Oxford.6

 

La cosa sorprendente è che i pastori sanluchesi decorino i loro manufatti nello stesso identico stile di Stentinello. La sintassi è del tutto uguale a quella di 5600 anni a.C., come testimoniano i manufatti, collari delle capre, cucchiai di legno e ciotole conosciute come jische.

 

Nella facies di Stentinello gli elementi decorativi formano schemi lineari geometrici, zig-zag, rombi, e losanghe dove risulta piuttosto frequente l’occhio umano stilizzato. Altre volte le decorazioni sono spighe, tralicci ecc, ma tutte entro lo schema del neolitico.

 

Le losanghe sono parallelogrammi con i lati uguali, vale a dire costruzione di rombi uno dentro l’altro, terminanti in un punto centrale. Le troviamo al centro delle composizioni, sia dei collari che delle jische o dei cucchiai.

 

NOTE

(6)Bova Marina Archaeological Project –Cambridge  e numerose altre Università

sul web numerosi riferimenti

Eta’ del ferro. 960 – 720 a.C.

Nel territorio di San Luca non abbiamo ancora trovato elementi riconducibili a questo periodo protostorico, ma c’è da ben sperare, poiché nelle vicinanze di Pietra Cappa, ricadente nel territorio di Natile Vecchio, si trova il romitorio conosciuto come rocche di San Pietro.

 

Le Rocche di San Pietro sono state scavate per ottenere delle tombe a grotticelle, conosciute a Locri, Gerace, Roccella e Brancaleone.

 

Queste grotticelle si conoscono anche in Sicilia, a Pantalica.

 

Le tombe a grotticella rappresentano il periodo culturale delle inumazioni delle popolazioni locali, prima della venuta dei colonizzatori greci.

 

Nei pressi dell’asceterio di San Pietro abbiamo rinvenuto delle ceramiche nello stile dell’età del ferro, sia vicino alle grotte, alcune parzialmente demolite, sia al disotto della rupe in corrispondenza delle grotte.

 

Altre ceramiche del periodo dell’età del ferro le abbiamo osservate salendo dal lato est di Pietra Cappa, sempre in territorio di Natile.

 

La venuta dei Greci

Alla fine dell’ottavo sec. a. C. cominciava l’occupazione del territorio da parte dei greci. Bisogna dire che i greci arrivavano nei territori dove in passato avevano gia’ avuto contatti con le popolazioni locali. Alcuni eruditi locali menzionano uno dei primi siti presso il fiume Butatros, (da cui Butramo) forse l’odierno Buonamico.

 

Alcuni anni orsono, nello scavo dell’acquedotto presso il bivio di San Luca, ho potuto osservare alcune anforette corinzie e altre ceramiche nello stile di Corinto, databili tra la fine dell’VIII secolo e l’inizio del VII secolo a.C..

 

Probabilmente, come in altri luoghi della costa, i fiumi erano fiordi, come nel caso accertato della fiumara di Spropoli dove un cartografo napoletano disegna, nel 1700, un fiordo . L’orografia del territorio fu sconvolta dal terremoto/maremoto del 1783, per cui oggi non abbiamo la visione di quello che era l’ambiente prima del terremoto, definito “la prova generale della fine del mondo.

 

Elementi ceramici riconducibili al periodo greco li abbiamo osservati in località Cuppo7, presso una frana esposta ad est, nella sommità della collina. Sono queste ceramiche nere nello stile jonico e corinzio, del tutto uguali a quelle di Locri.

 

Gli esigui frammenti ceramici sono stati datati tra la fine del VI sec. e il V secolo a. C. Probabilmente, i luoghi dove giacciono i frammenti sono riferibili ad un probabile frurion (torre difensiva o di avvistamento) oppure ad una casa colonica.

 

Altri frammenti greci li abbiamo osservati in montagna, presso il Casello forestale di San Giorgio, poco al disotto del muro di contenimento della spianata del casello, e nella pineta adiacente. Tali frammenti riteniamo siano attribuibili tra il V e il IV sec. a.C.

 

Pensiamo che i frammenti siano venuti alla luce nel momento dell’impianto della pineta. Il vallone presso la pineta viene chiamato Salìce. Questo toponimo lo troviamo in corrispondenza dei confini tra il territorio di San Luca e la linea di demarcazione tra i comuni di Careri e Platì.

 

Salendo in altura, presso il passo del Salìce, troviamo il toponimo di Virgolito. Considerando il betacismo nell’antico dialetto locale, questo toponimo diventa Pirgolito, ovvero da Pirgos (torre) e lithos (pietra), quindi diventa Torre di Pietra. Abbiamo osservato in loco un cumulo di pietre con muri alla base ancora visibili.

 

Davanti al casello forestale di San Giorgio abbiamo osservato resti di grandi Pithos (plurale pithoi) dal greco (πίθος, πίθοι), che significa grande giara per immagazzinamento di derrate alimentari.

 

Altre erano ceramiche di uso comune e numerosi frammenti di ceramiche lucide nere. Successivamente abbiamo condotto un sopralluogo con alcuni archeologi del museo di Reggio.

 

I siti in altura nelle nostre zone non sono molti. Generalmente questi sono posti in luoghi strategici, ad esempio come frurion, ovvero castelletti o torre di guardia.

 

Altri reperti del periodo greco sono stati riutilizzati nella costruzione della chiesa di San Giorgio. Questi sono tegoloni e marmi. Altri minuti frammenti di ceramiche greche si rinvengono presso serro Papà. Sono queste ceramiche miniaturistiche (o votive) oppure da corredi funebri.

 
 

NOTE

(7)Sebastiano Stranges-Aa Vv-Monaci e Monasteri Italo Geci-vedi nota n4

Periodo romano

Nel territorio esistono due toponimi, entrambi interessanti e purtroppo incogniti.

 

Il primo toponimo è Palazzo. Generalmente per Palatium si intende una villa romana, come nel caso di Casignana.

 

Nella memoria storica del paese, si cita come racconto che il primo nucleo insediativo sorgeva a Palazzo, nelle vicinanze della Rocca Piede di Sansone.

 

Nella radura, salendo verso Ceramidio, si rinvengono materiali fittili di epoca romana.

 

In tutta questa zona sono diffusi palmenti scavati nella roccia arenaria. Probabilmente il Palatium era una villa rustica dove si coltivava soprattutto la vite.

 

Un altro toponimo che suscita interesse è quello di Tribonia. Qui esistono dei grossi muri. Purtroppo non ho mai potuto controllare i materiali ceramici per via delle recinzioni.

 

Dalle testimonianze che ho raccolto, il sito deve essere stato importante. In mancanza di dati e di scavi posso fare solo una ipotesi: che qui ci sia un insediamento militare retto da un tribuno, il tribunus militum, ovvero tribuno dei soldati, era sinonimo di capo della tribus, un ufficiale dell’esercito romano.

 

Periodo tardo antico, i bizantini, il monachesimo

Sulla città di Pietra Cappa si sa poco. Le notizie storiche sono poche e frammentarie. Per poter comprendere qual’era stata la situazione, ci possiamo avvalere dei pochi frammenti ceramici che emergono dal terreno e dai materiali di riutilizzo che sono stati usati nella costruzione delle chiesa di San Giorgio.8

 

Nei pressi del monastero di San Giorgio ci sono ancora delle tombe di epoca tardo antica.

 

Per ragioni protezionistiche non forniamo altre notizie.

 

Alcuni anni fa con un gruppo di volontari internazionali, sotto la guida degli archeologi del museo di Reggio Calabria, abbiamo effettuato dei lavori di ripulitura e recupero di materiali archeologici che ora sono conservati nel museo di Locri. I materiali più importanti recuperati erano marmi usati per la pavimentazione della chiesa. Alcuni presentavano iscrizioni in latino, tanto che ho pensato che questi potessero essere stati elementi di lapidi funerarie .

 

Da Pietra Cappa, in direzione sud est, il toponimo verso il Comune di Natile cambia nome e diventa Judario. Sono presenti, affioranti dal terreno, numerosi elementi ceramici. Sono questi del tutto simili a quelli in sito alla sinagoga di Bova marina, con forte presenza di ceramiche di importazione dalla Siria.

 

Sulle presenze ebraiche in Calabria i riferimenti e i siti sono molteplici, a partire dalla fondazione della citta’ di Reggio, ma nel territorio in tutta la provincia ricorrono numerosi toponimi che riportano alla presenza dei judei.

 

Giacobbe acconsenti al Fratello Esaù di divenire erede della terra di Calabria “Tu avrai in eredità una terra grassa e feconda, e questa terra si chiamerà Italyah, Shel Yavan, Italia greca. La promessa è stata mantenuta.

 

Negli ultimi anni abbiamo mappato il territorio dove ricorre il toponimo judario, judei e questo conferma la grande presenza ebraica nel territorio della provincia.

 

La lapide ormai trafugata, proveniente dalla zona di San Giorgio, della quale abbiamo la foto che Aurelio Pelle scattò anni fa, testimonia quanto fino ad ora era impensabile. Scrittura greca ed ebraica sulla stessa lapide. Ecco il testo”

 

1. ΣΠΥΡΟΣ ΒΕΤΑ = Spiro Beta ( due nomi: uno maschile e uno femminile)
2. Ισαάκ Χαμούφ = Isaak Hamuf ( questo è un nome scritto in Greco, ma il nome è Ebraico).

 

3. ΤΖΑΝΙΣ = Tzanis ( é un nome e anche cognome Greco).
La lapide riporta tracce di scrittura greco antica.

 
 

(8)Sebastiano Stranges-Aa Vv-Monaci e Monasteri Italo Geci-vedi nota n5.

La città di Pietra Cappa

Sull’abitato antico di Pietra Cappa, probabilmente il suo nome era scritto con la qoppa greca, coppa, da cui nasce il suono kappa. Infatti il grande masso avrebbe la forma di una coppa rovesciata.

 

L’età dell’abitato inizia già nel neolitico, continua nel periodo del bronzo medio fino all’età del ferro. Poi ritroviamo i resti di un insediamento con ceramiche greche. Altre del periodo tardo antico. Fortunato Nocera9 scrive dell’abitato di Petracucca, la cui esistenza è attestata da diverse fonti storiche. Ad oggi non si conosce il sito esatto dell’ubicazione, anche se si ritiene che sorgesse nei pressi di Pietra Cappa, verosimilmente nelle pianure di Cicerati e Livodace, dove affiorano ancora dei ruderi, in verità poco riconoscibili anche perché poco studiati, e resti di una strada lastricata.

 

Dalle ricognizioni da me effettuate ho trovato molti materiali di epoche diverse lungo il piano prima di arrivare a San Giorgio, nelle adiacenze dei ruderi del monastero e fino e oltre il grande monolito.

 

La prima notizia sulla città di Pietra Cappa è legata al bios di Sant’Elia di Reggio, conosciuto come lo speleota (abitante in caverna) o come il vecchio, per distinguerlo dal giovane Sant’Elia di Enna, coevo e che operava, in quel tempo, negli stessi territori del nostro Elia di Reggio.

 

Nell’anno 904, “Sant’Arsenio mandò tosto a chiamarsi Elia suo discepolo, che era da lui stato mandato a predicare nel castel di Pietra Cafcas”10. L’epoca è quella dei grandi sconvolgimenti ad opera degli attacchi continui da parte degli islamici e degli slavi che di fatto distrussero la società e l’economia di tutta la zona, cancellando intere città e rendendo schiavi uomini, donne e bambini che furono deportati e venduti.

 

I primi riferimenti scritti sull’esistenza della città di Pietra cappa li troviamo nelle note di Michele Amari dove il nome di Pietra Cappa dai cartografi arabi viene scritto b.tr.qu.qaq.11. Praticamente, negli anni del 952 e 953, Pietra Cafcas viene distrutta dagli emiri arabi stanziati in Sicilia. Michele Amari definisce la città di Pietra Cappa come città importante per popolazioni e attività commerciali12. Dal bios di Sant’Elia lo Speleota possiamo comprendere che il castello era ritenuto già coevo di Pietra Cappa, infatti S. Arsenio mandò Elia al castello. Si narra che nello stesso tempo Elia frequentava il monastero di San Giorgio dove trascriveva le opere sacre insieme ai confratelli e, sempre dai racconti popolari su Sant’Elia, che questo prima di ritornare a Reggio praticò un esorcismo di una ragazza figlia del papas del Castello. Un altro toponimo che ritroviamo nella zona di Pietra Cappa è Afrundu, dal greco Acrantos che definisce la zona liberata dal maligno, santa, probabilmente per la presenza dei santi eremiti che qui vissero ed operarono. Sulla sommità del grande monolito ci sono i resti di una piccola struttura in pietra e cocci di ceramica tardo antica. La struttura evidenzia i resti di una piccola chiesetta con abside orientata.

 
 

NOTE

(9)Fortunato Nocera. SAN LUCA IN ASPROROMONTE. monografia Quaderni fondazione C.Alvaro. Editore Grafiche Spataro Ardore Marina anno 2015

(10)DOMENICO MINUTO. Catalogo dei Monasteri e luoghi di culto tra Reggio e Locri.pg.353. Edizione di storia e letteratura Roma 1977.

(11)Michele Amari. Biblioteca arabo-sicula.Vol,1.Edizione Loescher, Torino.Roma 1880.

(12)Michele Amari. Storia dei mussulmani in Sicilia , Vol. 2, ed Catania 1935.

 

 

Potamia

Sulla fondazione di Potamìa non si sa molto. Negli anni ho fatto alcuni escursioni sul territorio seguendo la pista ormai imboscata che potrebbe essere stata l’antica strada di collegamento tra la città di Pietra Cappa e il Castello. Lungo il tratto e dentro il bosco davvero assai impervio, si rinvengono resti di muri e di terrazzamenti, come di case sparse , che fanno pensare alla presenza di piccole fattorie dislocate tra la città e il castello.

Una continuità insediativa, anche se sparsa, che fa pensare ad una contiguità tra i due siti. Intorno al castello ho potuto osservare i resti di muri e quando furono effettuati gli scavi per l’acquedotto comunale.

A circa due metri di profondità sono emersi ambienti ben conservati di stanze intonacate e muri con tracce di colore e pavimentazione ancora integra di mattoni. Nei pressi del Castello sono state rinvenute alcune monete segnalate dal Prof. Domenico Minuto. Queste sono:

– 2 Folis di bronzo di Leone VI dell’anno 886-912-moneta di Teodora anno 1055;

– moneta di Costantino X del 1059.

Si racconta in paese di altre monete d’oro delle quali non abbiamo conoscenza. Considerando che Nel bios di Sant’Elia di Reggio troviamo la data della sua presenza nel castello di pietra Cappa gia’ nel 904, e che le monete trovate in situ sono databili nell’anno 886, il castello poteva essere già esistente nel periodo in cui c’era la presenza dei romani e degli ebrei. Il castello è stato edificato in un punto strategico per il controllo del territorio, ma anche per il controllo della strada che portava verso il monastero di Porzi e di li saliva verso Montalto. Il Ponte che congiungeva le due sponde del Buonamico porta il nome di Ponte dell’Avvreo. Considerando il betacismo linguistico, avvreo diventa Ebreo.

Probabilmente dopo la distruzione della città di Pietra Cappa, nell’anno 952, la popolazione superstite si avvicinò alla città di Potamìa nei pressi del castello che ospitò anche i superstiti di Bruzzano, che a sua volta fu distrutta dagli arabi nello stesso periodo. A queste conclusioni siamo arrivati seguendo le tracce dei lasciti culturali, linguistici e toponomastici dalle popolazioni armene che erano state mandate dall’imperatore Niceforo Foca il nonno, per contrastare l’avanzata degli islamici13. Bruzzano, dopo Gerace, era la città più grande. Il suo territorio si stendeva ben oltre i confini geografici attuali. Infatti comprendeva il territorio di Ferruzzano, Brancaleone, Staiti, e Motticella.

Nello stesso anno della distruzione della città di Pietra Cappa, gli armeni furono sconfitti dagli islamici e dovettero ritirarsi verso le montagne. Gli armeni avevano edificato due avamposti militari. Il primo a Bruzzano, conosciuto ancora oggi come castello degli armeni o Rocca Armenia.

Da un cartografo arabo troviamo il nome antico di Bruzzano Buir sa nan, che in armeno diviene Bursana e vuol dire, luogo dei profumi;

il secondo a Brancaleone vetus, dove esiste una chiesa rupestre armena con un pilastro centrale, albero delle vita e pavone graffito14. Seguendo la toponomastica e i lasciti linguistici, ritroviamo i superstiti armeni sulle alture di Casignana, dove nell’attuale Campolico troviamo i toponimi Gharmeni, Varta e Varet. Nel dialetto di Caraffa, Samo, Sant’Agata e Casignana davanti alla A si antepone il suono “Gha” per cui “Gharmeni” diventa “armeni”.

Il toponimo “Varta” (o Varet) è diminuivo del termine armeno “Vartabed”, che designa un “monaco anziano” ovvero il superiore del convento o della congrega.

Varet potrebbe essere stato un nome o cognome abbreviato. Nel dialetto di Casignana resiste ancora il vocabolo Tarra, che altro non è che un recipiente di terracotta panciuto, termine che si usa per descrivere un “uomo con la pancia”. Non c’è dubbio, il vocabolo è un lascito della lingua armena.

Potamìa è la città che ha conservato molti vocaboli della presenza armena, a cominciare da Porzi. Dalla lingua armena “porez” – porezì15, che significa“ha scavato”.

La leggenda di Polsi vuole, infatti, che un torello abbia scavato con le corna trovando una croce di ferro. Sulla croce di Porzi si è molo discusso. Noi abbiamo chiesto a molti esperti armeni, i quali ci hanno mandato delle foto delle croci armene coeve a quella di Porzi.

Ormai optiamo che la croce come il nome di Porzi siano armeni. A Potamìa troviamo cognomi di derivazione armena, come Armeno e Armeni, Versace (da Versak), Micone (da Miconian).

Molti vocaboli che ora non si usano più neanche nell’armeno moderno, li troviamo ancora nel nostro dialetto attuale – Bagianaru e baggianeglia. Sono vocaboli armeni che designano bellezza, splendore ecc.

Baggianaru viene dal termine armeno Bagian, che vuol dire “oro lucente”, con l’aggiunta del termine “Aru” che vuol dire“uomo”, quindi la traduzione diventa “uomo splendido”.

La forma femminile locale diventa “Baggianeglia”, soprannome di donna bellissima.

Un vocabolo che mio padre aveva sentito da piccolo e che era scomparso, appariva nei discorsi dei pastori anziani. Di questo misterioso vocabolo abbiamo chiesto a molti linguisti e tra questi al grande Gerhard Rohlfs, il quale si era riservato di studiare l’etimo e il significato.

Dopo molti anni, grazie ad una studiosa armena siamo riusciti a tradurre il vocabolo Balanghoggu o a volte Barancogghu. La dottoressa Lilith Chilingaryan, studiosa armena ed esperta della lingua armena antica, così ci ha tradotto: Balaban (բալաբան) – k (gh) ok (gh) u = rumore, tamburellare ritmico) e “coghlel – (Ghoel) կոխել = zoccoli di animali.

La traduzione di “balanghogghu” diventa “rumore di zoccoli” (di animali in corsa). Infatti, il vocabolo ascoltato nel racconto di un pastore: “Jìa i gudìsciu i nimali, pacchì sentìa nu balanghogghu”. Tradotto letteralmente: “Sono andato a controllare (a scrutare, osservare gli animali), perché ho sentito un galoppo, o scalpitio di animali in corsa”.

Un’altra volta ho sentito una madre dire ai suoi bambini, che correvano intorno al tavolo di casa, “cotrari, non faciti barangogghu”

A Potamìa e poi a San Luca, troviamo anche la presenza ebraica in alcuni riti e manifestazioni dell’abbigliamento. Fino agli anni ‘60, erano molti gli uomini che portavano il copricapo circolare portato dagli ebrei, la Kippah. In molte famiglie si celebravano gli azimi nel periodo che precedeva la Pasqua. I mulattieri ornavano la fronte dei muli con la stella di Davide. Certe usanze avevano perso il significato, ma la continuità, come espressione di appartenenza, perdura nel tempo.

La città di Pietra Cappa, o Pietra Cafcas o come scrivevano gli arabi sulle loro cartografie, b.tr.qu.qaq, ha avuto origine neolitiche. Prima della colonizzazione greca questi luoghi erano abitati dalle popolazioni indigene, che dal neolitico fino all’eta’ del ferro trovarono le condizioni per potere vivere. Il periodo neolitico lo troviamo dislocato in molte zone del paese. Ciò è testimoniato dal ritrovamento di asce litiche, dalla presenza di schegge litiche e nuclei di ossidiana.

Considerata la vastità del territorio comunale e dei luoghi che hanno le caratteristiche geo ambientali che possono aver ospitato le popolazioni indigene del neolitico e dell’età dei metalli, sarebbe il caso di approfondire la ricerca.

Il periodo greco restituisce due siti, il primo a Cuppo, mentre l’altro nei pressi di Pietra Cappa, ma secondo alcuni testimoni una tomba greca è stata trovata negli anni 60 durante i lavori per l’allargamento della strada nei pressi di Palazzo, vicino alla Cammaretta.

La Cammaretta sarebbe la vasca per la raccolta dell’acqua del vecchio acquedotto.

Altre tombe o necropoli sono segnalate per il casello forestale di Melia, nella zona di Pietra du cifaru, ma di queste non si sa a quale periodo possano appartenere. Mentre sarebbe interessante approfondire la ricerca in zona Randaci, dove molti anni fa, a seguito dello straripamento dell’omonimo vallone, sono emersi murature e anfore, probabilmente del periodo medioevale.

In questa località molti documenti citano la presenza di una chiesa o grangia, detta di Santa Maria di Randalibus.

Altre rilevanti osservazioni le ho fatte nella località Giardino, presso il mulino di don Angelo Stranges, da cui emergono, dal terreno, dei muri con arco semi interrato e da cui si evincono tracce di probabili affreschi. Nelle vicinanze vi sono parti di anfore con tracce di colore rosso del periodo medioevale. Siamo vicini ai ruderi del monastero di San Salvatore e queste evidenze archeologiche potrebbero avere la loro importanza. Pietre di Febo, epiteto della divinità greca Apollo, luogo puro dedicato al dio Apollo, pertinenza dei siti di palazzo, Ceramidio che conducono al Castello e Potamìa.

In questa zona sono diffusi sia numerosi palmenti che resti ceramici romani e tardo antichi. Per le caratteristiche morfologiche e logistiche ci potrebbe essere stato un tempio dedicato al dio Apollo. Il toponimo spesso è legato alla presenza di templi a lui dedicati. Un altro toponimo, che secondo me va controllato e studiato, si trova nelle vicinanze di Potamìa. Questo è Serro da Russia.

Dalle immagini satellitari si intravede, sopra un cucuzzolo, una probabile struttura di circa 40 mq. Non sappiamo se quello ce vediamo dal satellite corrisponda ad un manufatto o sia una struttura naturale, ma rifacendoci alle varie popolazioni che qui giunsero da molte parti del mondo, credo che il sito vada preso in considerazione.

Il territorio di San Luca si sta dimostrando ricco di storia, una storia importante con continuità di 10 mila anni dove si sono incontrate etnie e culture. Dagli indigeni, ai greci, agli ebrei, agli armeni, e tutti hanno lasciato qualcosa , sia nel genoma che nella cultura che rischiamo di perdere.

Dai greci arcaici, con rito esoterico legato forse a misteri orfici che si evolvono autonomamente in questa area, nei contesti della cristianità nasce e matura l’idea dell’Uomo Essenziale. Tutti noi abbiamo conosciuto un uomo essenziale, faceva parte della vita sociale del paese. Dagli uomini essenziali ci si recava recitando la formula: “Vinni cà pe nu cunsigghiu”. L’uomo essenziale era il saggio del paese. Da lui si andava a chiedere un consiglio ispirato. Ma chi era veramente il saggio? Dio mette nell’uomo il segno del saggio, ma uomini essenziali si diventa con lunga scuola esoterica, tramandata tra pochi predestinati da Dio. Alla nascita di un bambino o bambina, la saggezza non ha sesso. Le donne dotate della saggezza del pronostico, visitando la puerpera guardavano il nascituro per vedere se questo portasse i segni. Individuato il bambino o la bambina, i saggi del paese iniziavano, appena possibile, il predestinato verso la conoscenza delle “Parole della Verità”.

Iniziava una lunga scuola di insegnamento. L’uomo essenziale racchiudeva in se la consapevolezza che quello che dava alla gente era frutto del dono divino ed essendo un dono non prendeva compensi. Nella filosofia dell’uomo essenziale si coglieva tutta la scuola filosofica della maiuetica di Socrate. L’uomo essenziale non dava responsi, non elargiva consigli, ma aiutava il richiedente al ragionamento superiore. La risposta veniva proprio da questo. L’uomo essenziale non ride mai, ma sorride, sa ragionare perché vive una calma interiore. Nella figura dell’uomo essenziale si può cogliere il significato di un sincretismo di unione delle culture dei popoli greci, ebrei e cristiani che seppero fondere i principi basilari di una cultura di pacificazione con Dio. Il lungo insegnamento, condotto sempre nel segreto più totale, si concludeva con la frase rivolta al neofito, che terminava dopo lungo tempo “ora vai, sei pronto, e che io possa vederti l’uomo migliore del mondo”.

Per la storia e l’archeologia ci fermiamo qui, anche perchè il resto è stato scritto e raccontato.

 

 

 

La continuazione di questa breve esposizione si potrà leggere nell’opera piu’ completa di Fortunato Nocera in “SAN LUCA IN ASPROMONTE”. Monografia. Quaderni della Fondazione Corrado Alvaro del 2015 e altre integrazioni sul periodo monastico in Autori Vari – “MONACI E MONSTERI ITALO-GRECI NEL TERRITORIO DI SAN LUCA- Collana L’Aspromonte tra Storia e Fede. Laruffa Ediore 1999 –

chi volesse approfondire sui materiali ceramici può visitare il web – youtube. Proloco di Bancaleone, Carmine Verduci, Sebastiano Stranges – Tracce dell’età del ferro-Periodo greco-romano fino al VII IX sec.(Natile).

Documentario. Edito da pietra kappa. Botteguccia del conoscere. CalabriaPostnet. Sebastiano Stranges. Pietra Cappa tra geologia e storia 12 Marzo 2018. yuotube.

Sulla preistoria che riguarda il paese ci sono numerose conferenze basta digitare il mio nome sul web seguito da preistoria.

 
 
 
 
 

(13)Lb Zekiyan –Le colonie armene nel medioevo in Italia. Simposio internazionale di arte armena. Venezia

S. Lazzaro 1978.

(14)Sebasiano Stranges. Armeni in Calabria, un castello e una chiesa rupestre. Calabia Sonosciuta annoXIX gennaio marzo 1996

(15)Carmine Verduci.Lilith Chilingaryan. Sebastiano Stranges – documentario Cuore Armeno di Calabria. Edizioni Kalabria Experience Ottobre 2020.

Su youtube

 

Sebastiano Stranges

nato a San Luca (RC) il 18/02/1953 – Residente in Marina di Palizzi.

Diploma di Tecnico Agrario, ed Operatore Socio Economico

Già professore presso Istituto Agrario di Catelfranco Veneto (TV)-

Operatore per la formazione di Cooperative presso CECAT Treviso

Ricercattore settore colture e fitopatologie presso IPSA Castelfanco Veneto per conto dell’OIV (organisation internationale de la vigne et du vin)

Ispettore Onorario Ministero per i Beni e le Attivita’ Culturali.

Consulente scientifico di gruppi ambientalisti nazionali Kronos

  • Collaboratore esterno e consulente gruppo di ricerca archeologia preistorica BThe Archaeology of Bova and Bova Marina- (Prehistory, principally Neolithic and Bronze Age (John Robb, Cambridge University; Meredith Chesson, University of Notre Dame); technological analysis of prehistoric pottery (Kostalena Michelaki, Arizona State University)

  • Classical Greek archaeology (Lin Foxhall, Leicester University)

  • Field survey and varied historic and scientific landscape studies (David Yoon, New York; Gianna Ayala, Sheffield University; Hamish Forbes, Nottingham University; Paula Lazrus, St. John’s University; Ed Reinhardt, McMaster University)

  • Collaboratore esterno Soprpintendenza Archeologica Museo di Reggio Calabria
  • Documentarista su temi naturalistici e Archeologici per conto “PROLOCO di Brancaleone. Kalabria experience e Tv nazionali ed estere.